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Il caso della Banca Etruria

 

 

 

di Andrea Bergamaschi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al centro dello scandalo che ha visto il salvataggio dal fallimento di quattro banche italiane e migliaia di risparmiatori truffati, c'è appunto la banca Etruria che ha la propria sede principale in Arezzo. Gli abitanti del posto avevano deciso di investire i propri risparmi in questa banca, nata 140 anni fa ed è quindi molto conosciuta nel territorio, per un totale di 35 000 000 di risparmi di cui 1,6 di quei risparmi andavano a formare un pacchetto di titoli subordinati che i dipendenti della banca erano stati costretti a vendere perché avrebbero messo in sicurezza la banca evitando la bancarotta. I dipendenti della banca riuscirono a venderli tutti, convinti della loro bontà o almeno così li avevano rassicurati i dirigenti della banca stessa.

 

 

Il decreto salva banche

Il decreto-legge 22 novembre 2015, n.183 (“Il decreto salva banche”) è il provvedimento con cui il governo Renzi ha deciso di porre rimedio alla crisi profonda di quattro istituti di credito regionali: Banca delle Marche, CariChieti, CariFerrara, e Banca Etruria, che erano da tempo sull’orlo della bancarotta, dati i loro bilanci pieni di incongruenze. La causa di questa situazione così disastrata è dovuta principalmente ad operazioni spericolate, dai crediti in sofferenza e da concessioni creditizie di dubbie solvibilità.

Il decreto del governo ha lasciato dietro di sé un lungo strascico di polemiche per le conseguenze che ha avuto sulle tasche di migliaia di risparmiatori.

Per permettere il salvataggio di queste quattro banche il governo, mediante il citato decreto, ha permesso la creazione di una "bad bank" dove vengono inseriti i titoli deteriorati delle banche stesse mentre con le parti sane vengono costituite quattro nuove banche che verrano poi messe all'asta e vendute. Le perdite dei quattro istituti vengono assorbite innanzitutto con l'azzeramento del capitale degli attuali soci e con la svalutazione delle obbligazioni subordinate. Il ricavato verrà restituito al fondo di Risoluzione ciò significa che andrà quindi a beneficio degli altri istituti che hanno contribuito al salvataggio. E questo fondo, creato in base alle norme europee sarà finanziato completamente da banche italiane (Ubi Banca, Unicredit e intesa San Paolo).

 

La parte del decreto sul quale si sono accese feroci polemiche riguarda il coinvolgimento di  azionisti e obbligazionisti subordinati (clienti e risparmiatori della banca) che risponderanno in solido del fallimento delle banche. I titoli subordinati sono una speciale categoria di obbligazioni il cui rimborso, nel caso di problemi finanziari per l’emittente, avviene successivamente a quello dei creditori ordinari. Ciò comporta che i possessori di titoli subordinati possono rischiare di non essere rimborsati se la banca non ha fondi sufficienti.

Più precisamente, le obbligazioni subordinate sono uno strumento finanziario di debito che è una via di mezzo tra un titolo azionario e un’obbligazione. Il detentore del bond (altro modo per dire obbligazione subordinata) riceve delle cedole da parte dell'emittente ma non è garantito dal rischio d'impresa. Infatti, in caso di fallimento della banca emittente, i titolari delle obbligazioni subordinate sono considerati creditori di serie b, i cui diritti patrimoniali possono essere soddisfatti solo dopo aver risarcito altri soggetti come i dipendenti delle banche, i correntisti e titolari delle obbligazioni ordinarie.

 

 

In conclusione, tirando le somme, verrebbe da dire che l'operazione del governo ha salvato sì le banche e i creditori ordinari, ma ha lasciato nei guai migliaia di risparmiatori che hanno sottoscritto i bond subordinati. Sembra quindi che una soluzione ragionevole e accettabile debba ancora essere pensata.

 

 

 

 

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